Aguirre che si firma il Traditore
2006-11-20 11:59:52 UTC
Alessandro Piperno: con le peggiori intenzioni
Avevo letto che c'erano state polemiche in merito all'esordio letterario del
romano scrittore Alessandro Piperno. Complice il successo editoriale dell'opera,
la gaudente intellighenzia italiana e tutti coloro che sognano,
infaustamente e chissà perché, di farne parte, magari aprendo un blog e
vomitandoci sopra anni di bile in arretrato, si erano schierati in due
eserciti contrapposti come le onde del Mar Rosso aperto da Mosè: da una
parte i censori, a parer dei quali ci troveremmo di fronte a una bariccata
ben sponsorizzata (non me ne voglia Baricco: utilizzo proprio uno dei tanti
termini scovati qua e là con la sola intenzione di far comprendere il
giudizio dei criticanti) dalla stampa manovrata dalla Mondadori, e i peones
che individuano nell'autore il nuovo Proust italiano. "Finalmente un
romanzo", m'è capitato di leggere su una fanzine metropolitana.
La verità non è mai una cosa che sta in mezzo. Sta a tre quarti, qualche
volta, a tre quinti, a babordo, a dritta, a prua, ma a metà mai. Io il libro
l'ho da poco terminato di leggere. E' buono, non ci sono storie.
Specialmente se lo raffrontiamo ai lavori di autori di solito incensati per
motivi politici o perché li si ritiene. a torto. di nicchia. Questo non
significa che non abbia dei difetti, tuttavia ha anche dei pregi: lo stile,
che presenta, e lo dirò, un rovescio della medaglia, è personale e
ricercato, e anche dove si esagera nella ricerca spasmodica e salmodiata di
avverbi e aggettivazioni, lo si fa cercando di mantenere una coerenza
interna e soggettiva che finisce con il caratterizzare il testo. A volte la
voglia che Piperno venga rapito dagli alieni sale a fior di pelle: a me
saliva ogni volta che trovavo scritto "apotropaico" (almeno cinque volte).
Ma altrove la raffinatezza delle scelte linguistiche colpisce, soprattutto
perché si trova al servizio di una trama che, tutto sommato, regge, tranne
che un po' nella parte centrale (la meno interessante del romanzo, dove
viene a mancare in parte l'interesse per quel che accade e dove lo stile non
riesce da solo a impedire di sbadigliare a tratti), senza strizzare l'occhio
al lettore con scene costruite per sedurre o vicissitudini da romanzetti
harmony.
A dire il vero se c'è da individuare un difetto nella trama è proprio la
mancanza di scene. Piperno porta avanti l'intreccio con verbosità quasi da
flusso di coscienza. Lui non mostra quasi mai: racconta. Ma qui, se
permettete, ci troviamo proprio di fronte al contrario di ciò che ogni
manuale per letteratura furba suggerisce.
Io avrei lavorato di più sulla struttura. Ma è un appunto disattento,
codesto che vi propino, poiché disattento ero io mentre leggevo rapito
mentalmente da due miliardi di cose da sbrigare che mi assediavano nel
periodo in cui ho messo gli occhi sulle pagine. Ad ogni modo mi pare che l'io
narrante, per forza di cose interno al romanzo, si confonda spesso e
volentieri coi personaggi.
Aldo Nove aveva rimproverato Piperno di non essersi preso responsabilità da
scrittore impegnato vergando "con le peggiori intenzioni". Il titolo, già,
la dice lunga e può essere assunto come risposta alle rimostranze di Nove,
il quale ha una parte di ragione, nel senso che Piperno, in partenza,
rifiuta, pur trattandosi di fatto di un romanzo di formazione, di
conferirgli un background moralistico e giudicante le brutture o bellurie
della contemporaneità, non troviamo, per fare un esempio, una netta presa di
posizione nei confronti della società (ma sarebbe il caso di dire nei
confronti dell'atmosfera generale) rintracciabile nel primo romanzo di
Céline o nel primo romanzo di Busi, pur in maniera differente. Quello che
Aldo Nove imputa a Piperno influisce sul giudizio complessivo del romanzo?
Sì e no. Influenza là dove è necessario prendere atto che dal punto di vista
del pensiero e dell'impegno (cioè delle "intenzioni") gli manca qualcosa per
raggiungere le vette di un "viaggio al termine della notte". Non influenza
là dove entrando in libreria, di questi tempi, ci troviamo di fronte a
mediocrità scritte male che durano soltanto (si fa per dire) 120 o 180
pagine. Il libro di Piperno nella mia edizione si protrae per 300 pagine
tonde. E se è poco antiborghese, se è poco moralista, pazienza. Si lascia
leggere bene, è scritto bene, e non merita l'acredine che da più parti gli è
stata riversata.
Avevo letto che c'erano state polemiche in merito all'esordio letterario del
romano scrittore Alessandro Piperno. Complice il successo editoriale dell'opera,
la gaudente intellighenzia italiana e tutti coloro che sognano,
infaustamente e chissà perché, di farne parte, magari aprendo un blog e
vomitandoci sopra anni di bile in arretrato, si erano schierati in due
eserciti contrapposti come le onde del Mar Rosso aperto da Mosè: da una
parte i censori, a parer dei quali ci troveremmo di fronte a una bariccata
ben sponsorizzata (non me ne voglia Baricco: utilizzo proprio uno dei tanti
termini scovati qua e là con la sola intenzione di far comprendere il
giudizio dei criticanti) dalla stampa manovrata dalla Mondadori, e i peones
che individuano nell'autore il nuovo Proust italiano. "Finalmente un
romanzo", m'è capitato di leggere su una fanzine metropolitana.
La verità non è mai una cosa che sta in mezzo. Sta a tre quarti, qualche
volta, a tre quinti, a babordo, a dritta, a prua, ma a metà mai. Io il libro
l'ho da poco terminato di leggere. E' buono, non ci sono storie.
Specialmente se lo raffrontiamo ai lavori di autori di solito incensati per
motivi politici o perché li si ritiene. a torto. di nicchia. Questo non
significa che non abbia dei difetti, tuttavia ha anche dei pregi: lo stile,
che presenta, e lo dirò, un rovescio della medaglia, è personale e
ricercato, e anche dove si esagera nella ricerca spasmodica e salmodiata di
avverbi e aggettivazioni, lo si fa cercando di mantenere una coerenza
interna e soggettiva che finisce con il caratterizzare il testo. A volte la
voglia che Piperno venga rapito dagli alieni sale a fior di pelle: a me
saliva ogni volta che trovavo scritto "apotropaico" (almeno cinque volte).
Ma altrove la raffinatezza delle scelte linguistiche colpisce, soprattutto
perché si trova al servizio di una trama che, tutto sommato, regge, tranne
che un po' nella parte centrale (la meno interessante del romanzo, dove
viene a mancare in parte l'interesse per quel che accade e dove lo stile non
riesce da solo a impedire di sbadigliare a tratti), senza strizzare l'occhio
al lettore con scene costruite per sedurre o vicissitudini da romanzetti
harmony.
A dire il vero se c'è da individuare un difetto nella trama è proprio la
mancanza di scene. Piperno porta avanti l'intreccio con verbosità quasi da
flusso di coscienza. Lui non mostra quasi mai: racconta. Ma qui, se
permettete, ci troviamo proprio di fronte al contrario di ciò che ogni
manuale per letteratura furba suggerisce.
Io avrei lavorato di più sulla struttura. Ma è un appunto disattento,
codesto che vi propino, poiché disattento ero io mentre leggevo rapito
mentalmente da due miliardi di cose da sbrigare che mi assediavano nel
periodo in cui ho messo gli occhi sulle pagine. Ad ogni modo mi pare che l'io
narrante, per forza di cose interno al romanzo, si confonda spesso e
volentieri coi personaggi.
Aldo Nove aveva rimproverato Piperno di non essersi preso responsabilità da
scrittore impegnato vergando "con le peggiori intenzioni". Il titolo, già,
la dice lunga e può essere assunto come risposta alle rimostranze di Nove,
il quale ha una parte di ragione, nel senso che Piperno, in partenza,
rifiuta, pur trattandosi di fatto di un romanzo di formazione, di
conferirgli un background moralistico e giudicante le brutture o bellurie
della contemporaneità, non troviamo, per fare un esempio, una netta presa di
posizione nei confronti della società (ma sarebbe il caso di dire nei
confronti dell'atmosfera generale) rintracciabile nel primo romanzo di
Céline o nel primo romanzo di Busi, pur in maniera differente. Quello che
Aldo Nove imputa a Piperno influisce sul giudizio complessivo del romanzo?
Sì e no. Influenza là dove è necessario prendere atto che dal punto di vista
del pensiero e dell'impegno (cioè delle "intenzioni") gli manca qualcosa per
raggiungere le vette di un "viaggio al termine della notte". Non influenza
là dove entrando in libreria, di questi tempi, ci troviamo di fronte a
mediocrità scritte male che durano soltanto (si fa per dire) 120 o 180
pagine. Il libro di Piperno nella mia edizione si protrae per 300 pagine
tonde. E se è poco antiborghese, se è poco moralista, pazienza. Si lascia
leggere bene, è scritto bene, e non merita l'acredine che da più parti gli è
stata riversata.